È un caso recentissimo quello di una donna morta per complicazioni dovute ad una grave mancanza dei medici in sede chirurgica. Come racconta l’Unione Sarda, Nietta Seddone è deceduta lo scorso luglio per una garza dimenticata nel suo addome due mesi prima e in seguito a tutte le conseguenze. I casi di malasanità si moltiplicano e le responsabilità, come ha confermato una recente sentenza della cassazione, devono essere ricondotte anche al capo dell’equipe medica, contro ogni forma di anarchismo
Malasanità: mai più scaricabarile
La Suprema corte, il due agosto 2015, ha confermato la condanna per omicidio colposo al primario dell’ospedale di Vibo Valentia per non essersi servito dell’autorità inerente al suo ruolo. In questo caso specifico si rigettava la tesi dello stesso chirurgo, secondo il quale le diverse competenze specialistiche dei singoli comporterebbero altrettante responsabilità mediche del tutto circoscritte.
Ma per la corte, è il chirurgo primario che deve avvalersi della sua autorità come responsabile dell’equipe per ravvisare anomalie e nel caso, bloccare decisioni avventate. Nel caso in questione, non si è fatto nulla per bloccare un’anestesia generale a base di curaro per intervenire sull’ascesso alla gola di una giovane ragazza, morta in seguito a questa decisione.
Malasanità: stop all’anarchismo
La sentenza della cassazione di cui stiamo parlando è la 33329 e spiega chiaramente che le diverse competenze di diversi soggetti coinvolti in un lavoro di equipe devono essere coordinate e “sottratte all’anarchismo. Per questo assume rilievo il ruolo di guida del capo del gruppo di lavoro. Costui non può disinteressarsi del tutto dell’attività degli altri terapeuti, ma deve al contrario dirigerla, coordinarla“. In questo caso, il cosidetto principio di affidamento, non conta, perché il responsabile del gruppo di lavoro deve valutare anche le scelte degli altri medici sotto il suo coordinamento; il suo ruolo di specialista sopra quello gli altri, implica una responsabilità decisionale specifica sull’operato di tutta l’equipe.
La differenza tra conoscenza specialistica e responsabilità terapeutica
Un conto quindi è la conoscenza specialistica, per esempio, di un anestesista rianimatore, le cui conoscenze rientrano nelle fasi dell’atto operatorio. Altra cosa sono le scelte terapeutiche che portano alla decisione di ricorrere a quella prassi specifica. In questi casi, come dice la cassazione, è fondamentale il ruolo guida di chi dirige l’azione comune e deve scegliere la soluzione appropriata caso per caso, in modo da consentirgli, quando è il caso, di bloccare l’azione terapeutica per evitare eventuali conseguenze.